IL CIRROSO
(The Cyrouse)
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Periodico aperiodico di informazione etilica, direttore, caporedattore, inviato speciale, reporter, fotografo, tipografo, editore, dattilografo, bidello e lavacessi: MAD. I nomi degli altri giornalisti leggeteli in fondo agli articoli. Pensato e stampato in località segretissima ingurgitando fiumi e fiumi di birre medie. Adesso basta, leggete il sito, beoni!!!!!!
Le recensioni di Beppe S.
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Dopo avergli fatto una lunga corte, finalmente noi del Cirroso siamo riusciti a convincere un grandissimo critico gastronomico a scrivere per noi.
E la prima prelibatezza etilica di cui ci parla è davvero una rara delizia dal sapore contadino!

Spirava il vento sul mare. Il maestrale faceva spumeggiare le onde contro gli scogli e i gabbiani sembravano scrutare l’orizzonte per predire se le nuvole che correvano verso il litorale fossero foriere di pioggia.
Ma io ero in montagna e il mare mi ha sempre fatto schifo. Non parliamo poi dei gabbiani che associo automaticamente alla spazzatura e alle discariche. Ma non mi sono ancora presentato: sono Beppe Sticazzi, noto critico gastronomico, astronomico, astrologico, fisionomico e convintissimo beone ortodosso. Ortodosso poiché evito accuratamente di bere tutto quanto la modernità abbia inquinato e corrotto.
Ad esempio, perché se voglio bermi del ruhm con del succo d’ananas al bar mi servono una bottiglietta contenente un distillato di lisoform con dentro sciroppo di frutto tropicale?
Diffidate dalle cose commerciali e già pronte: le cose buone richiedono cura e pazienza, anche se questo vuol dire prendere della barbabietola da zucchero e distillarsela!
Come vi dicevo, oggi mi trovo in montagna e sono qui per degustare una specialità unica di cui rischiamo di perdere la memoria e il sapore: l’amaro di capra.
Di per sé la capra non è già dolce ma qui viene fatta macerare in modo che la bestia diventi un liquore assolutamente spiacevole, in grado di farvi digerire anche il tacchino al mascarpone del Natale prima.
Prima della degustazione, una piccola spiegazione della ricetta.
Fondamentale è possedere una fossa o una vasca di almeno 5 metri di profondità.
Questa è indispensabile poiché la capra va lanciata ancora viva e vegeta in questa piccola piscina riempita di alcool, in modo che in qualche ora ne possa essere sopraffatta senza scappare. La carcassa deve poi macerare per un paio di mesi, dopo essere stata coperta con normale erba di pascolo ammorbidita da orina di vacca.
Ora ci troviamo di fronte al prodotto finito che viene conservato in tipiche bottiglie di piombo a chiusura ermetica per non far sfuggire inutilmente ogni piccola stilla di aroma.
Nel bicchiere subito si notano due cose: alla vista i peli del cadavere e all’olfatto i sentori di capra marcia con un sottofondo di verme morto di indigestione.
In bocca questo amaro è un’esperienza unica, quasi indescrivibile. Si viene subito aggrediti dalla capra che sulla lingua pare, ancora viva, belare e correre
felice su un prato. Piano piano la capra si ferma e pare addormentarsi, ma non è sonno, è la morte.
La morte ci è chiara soprattutto nel retrogusto dove la presenza del cadavere è innegabile e ai più attenti non potrà sfuggire l’imperfetta decomposizione di corna e ossa che ravvivano il nettare con una punta di croccante.
Consigliato al cento per cento, magari abbinato agli ossibuchi in agrodolce.

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Re: Le recensioni di Beppe S.
Scritto da Anonimo Beone il 27 Febbraio 2010, 17:30

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