Questa volta i nostri inviati ci raccontano la loro esperienza in una nota azienda vinicola piemontese, in occasione della giornata delle cantine aperte.
Un caldo soffocante da metropolitana milanese sta affliggendo le nostre gole.
Fortunatamente il Dio Bacco ci viene in soccorso organizzando proprio per quel giorno le cantine aperte.
Invitati a Cisterna d'Asti presso la lussuriosa cantina Pescaja, decidiamo di farci accompagnare dal nostro scalcinato galoppino freelance Hic Nick, che per l'occasione si porta dietro anche uno dei suoi più cirrosi amici: lo Spina.
Il Nick si presenta con quello che lui definisce "gessato": jeans, maglietta gualcita e sporco impossibile.
Dopo aver solcato strade circondate da vigneti giungiamo finalmente nel Paese dei Balocchi (che al vostro arrivo è stato subito ribattezzato "Paese dei Balordi" N.d.MAD), ci fiondiamo al ristorante per fare riscaldamento con una dozzina di commensali, una dozzina di portate e due dozzine di bottiglie di vino (buono!).
Ci troviamo in mezzo a una varietà di ciucchi di ogni ordine, grado e ceto sociale: avvocati, rivenditori di vini, dottori laureati in USA (come il mio chiropratico... ahia! N.d.Jaeger), baristi, camionisti maori, avanzi di galera e noi Redattori del Cirroso.
Dopo aver ribaltato il registratore di cassa a rutti per dimostrare di aver gradito il pasto e dopo aver ammazzato più e più volte il caffè, (ar)ranchiamo finalmente verso la nostra vera meta.
La cantina, incastonata alla base di una uveggiante collina e circondata da alberi di torrone, ci accoglie con tavoli ricolmi di vini e salumi tipici. Ci guardiamo intorno: il luogo è infestato da ciucchi fighetti che di norma si stonano a soft-drink: ci sentiamo in dovere di catechizzarli scolandoci alla goccia diverse bocce di Arneis e Barbera (rispettivamente 13% e 14%, giusto per rinfrescarci un po'). Per difenderci dal clima afgano e dallo strazio propinatoci da un menestrello che non riesce ad azzeccare le note neanche con le basi, ci rifugiamo fra le fresche e rassicuranti mura della cantina.
L'ambiente è lindo come una sala operatoria e rimaniamo estasiati al cospetto di una decina di vasche contenenti ettolitri di buon vino.
Rottame, perso nell'ammirazione delle varie attrezzature enologiche (filtri, torchi e soprattutto pompe), inizia a dare i primi segni di licantropia, quindi decidiamo di trascinarlo a forza verso la sala degustazione. E qui... Ecco la guest star della giornata: il Pescaja Lunae, Roero Arneis da vendemmia tardiva affinato in barrique con batonage delle fecce da 15 gradi.
Un gruppetto di amici selezionati ci attende per centellinare cotanto sublime vino: un vino da meditazione, da bere ricercando con cura sensazioni di origine remota in un'aurea pace interiore.
Quindi noi, per la pace delle nostra interiora, meditiamo di ricercare la sensazione di vuoto del bicchiere e ce lo tracanniamo a squarciagola.
Cazzo che buono.
Dopo la consueta, sonnolenta, mezzora di minchiate, il sommelier dice finalmente qualcosa di interessante e chiede chi ne vuole ancora. Eccoci! Lo finiamo!
Non ci resta che uscire e razziare gli ultimi assaggi di salumi, accompagnati naturalmente dal notevole Barbera barricato.
Recuperato Hic Nick, come al solito perso dietro qualche sottana (alla ricerca del suo due di picche quotidiano), lasciamo a malincuore quel paradiso del tazzatore e facciamo rotta verso casa.
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