Questa volta il nostro freelance Hic Nick ci ha mandato un articolo che ripercorre i suoi trascorsi di sassofonista da balera (uno dei tanti stratagemmi messi in atto nell’inutile tentativo di rimorchiare qualche tardona).
Cari audiolesi,
Questa volta il nostro freelance Hic Nick ci ha mandato un articolo che ripercorre i suoi trascorsi di sassofonista da balera (uno dei tanti stratagemmi messi in atto nell’inutile tentativo di rimorchiare qualche tardona).
La particolarità di questo pezzo è che, a differenza delle puttanate che ci manda di solito, stavola è tutto assolutamente vero!!!
MAD
Ta taa ta –ta taa-ta... il sincopato refen del mio portatile rompeva il silenzio. Nessuno rispose. “Pirla siamo alla porta” giunse dal retro.
Possibile che facessi ancora confusione con le suonerie impostate? Comunque corsi ad aprire. Davanti a me si stagliavano le sagome dei fantastici quattro… cirrosi dietro la luce abbagliante del sole.
Mancava giusto il Mad. Che erano loro capii da due cose: dal gessato, dalla maglia rossa cirrosa, dalla forma stessa delle sagome, dall’odore di alcol, dalla puzza di sudore, da un barile di birra posatoi lì a terra, da quattro scimmie che li accompagnavano, dallo stuolo di fans che li seguiva, da un poliziotto che li inseguiva… In pratica se vedete un casino così in giro o è il festival bar o sono loro a passeggio. Beh, ed anche dal fatto che dissero: “Siamo i direttori del cirroso, abbiamo bisogno di te” Mi passo tutta la carriera giornalistica davanti agli occhi. “Hic Nick, raccontaci di quando suonavi il sax nel complesso di Peppo e la Fantasy Band!”
Così non indugiai.
Quell’anno suonavamo a Legro. Non “Allegro”, proprio Legro si chiamava il posto!
Le mie ammiratrici si assiepavano nei pressi del palco.
Un rialzo di cemento, probabilmente un bunker diroccato, devastato da una bomba caduta durante la seconda guerra mondiale e rimasta inesplosa. Lo sfondo era costituito da un parziale reticolato, anch’esso bucato di canne di bambù mezze rotte e mezze marce e mezze. Un solo e misero faro giallo da cantiere posto al centro, da 2000 watt illuminava il viso della nostra incantevole cantante, che per l’occasione aveva messo l’abbronzante e tolto il giacchino, mostrando a tutti i seni cadenti combattere la gravità uscendo da un decolté improbabile. Era biondissima lei, ma solo a tre cm dal cuoio capelluto, ove la ricrescita visibile lasciava affiorare i più svariati toni di grigio e bianco, ed anche giallo unto. Un bassista basso basso con la barba suonava appoggiato alla parete della cassa della batteria. Si sedeva sempre lì, tanto il batterista la cassa non la usava mai. Lui, il batterista, si definiva il “virtuoso del piatto”. Era un ex cuoco e per questo suonava solo battendo sui piatti. Ultimi non ultimi completavano il complesso (n.d.a.: di colpa) una ragazzina di 14 anni dotata di apparecchio, amica di una compagna di classe di un’amica della sorella del bassista, che era stata assunta per suonare la chitarra elettrica col distorsore ma che in effetti col liscio centrava proprio zero ed il Peppo... Il re del tastierino. Era un drago a suonare, ma non suonava mai, perché il suo strumento era il flauto traverso che aveva imparato a suonare da giovane nella banda del paese. Lui arrivava, piazzava la tastiera, schiacciava un tasto e taaac dalle casse ti veniva fuori “la cumparsita”, “Madonnina dai riccioli d’oro”, “Calice amaro”… esattamente nell’ordine prescelto. Il peppo aveva 68 anni ed un bicchiere di rosso posato sulla tastiera.
“Cazzo…” diceva “ ..Quand la tastiera la suna i duvarò ben fa na quai roba! I poda mia schiscià ma al buton d’la pausa…”.
Che drago il Peppo, nel suo completo a paillet.
“La ballata del camionista” era ormai alla conclusione e ci apprestavamo ad eseguire uno dei must del nostro repertorio. “Tu tu il pulmino blu”. Avevo composto personalmente il testo del successo ed ogni volta che lo suonavamo mi riempivo di orgoglio. Posai tra le labbra il bocchino del sax, che scintillò insieme ai bottoni del gessato. Attaccai:
“Pulmino bel pulmino chissaà dove te ne andraiuiiii
Pulmino mio bel pulmino chissa dove non lo saii
Pulmino quel bel pulmino portami a ballaaaaaar
voglio veder il mare profondo profondooooo
voglio ballare un manbo in tondo in tondooooo...”
Grandioso.
La folla di si accalcava ripetendo insieme gli stessi gesti inconsulti che ci eravamo inventati per far diventare il pezzo un successo dell’estate. Mentre suonavamo ondeggiavamo anche noi sul palco sorridendo ebeti ed ammiccando a tutti.
Ogni tanto il bassista barbuto si destava dal torpore ed emetteva un sonoro “yahooo”. Lo faceva anche su altri brani, urlando. Era il suo stile e veniva molto apprezzato da nostri sostenitori che si affrettavano a mandarli segni di “ok” alla Fonzarelli in risposta. Quando finì il brano scattò un applauso e la cantante passò 12 minuti a salutare “… e a Carla da Mendrisio, un bacio a Marietto della baraggia di Suno…. Un caro abbraccio a Marzia di Briga ed a suo marito Stefanino, al figlioletto Angelo e ...al bel biondino laggiù che beve lo Jägermeister un bacio grosso…”
Io bevevo, ammiccavo e bevevo, bevevo e suonavo… ecco perché, ed ora lo sapete, sono Hic Nick dal whisky facile, il sax più sex che c’e’!
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